giovedì 4 dicembre 2014

Diario d'incontri. 01 Agosto 2014. Grasse


Grasse è una di quelle città che ti aspetti diversa, perché dopo che ci ambientano un film e lo hai visto pensi sia tutto come nella pellicola, ogni angolo, ogni finestra, ogni porta...Invece no chissà dove l'hanno girato "Profumo storia di un Assasino".
Non che non sia bella, ma non ha soddisfatto le mie aspettative...maledetto film! Grasse è una piccola chioccia di cittadella tutta arroccata su una collina, la cui vista da su altre colline più piccole, che, come ci ha saggiamente spiegato la signora di Cosenza con cui abbiamo fatto amicizia, prima erano piene zeppe di gelsomino, tanto che l'odore penetrante del fiore bianco ti entrava nel cervello, e ora niente l'uomo ha lasciato qualche rimasuglio.
Grasse è famosa per le sue antiche fabbriche di saponi e profumi come Fragonard.
Ma Grasse anche senza le piante sa di Gelsomino, perché in estate vaporizzano le vie con acqua e profumo e si sa che quest'ultimo conferisce sempre una nota sensuale, anche su una città, nonostante sia ormai decaduta e desueta.
Grasse è abbandonata a se stessa, è sola con il suo profumo.
Ma se chiudi gli occhi puoi sempre tener conto del film e cercare di ricostruire gli angoli e le viette, così come li hai visti nello schermo.

Ma quando riapri gli occhi non ci sono carriole piene di fiori freschi destinati all'enflorage per la produzione del profumo, non ci sono gelsomini, non ci sono artigiani ma solo una fredda catena di montaggio, non ci sono i maestri artigiani del profumo che custodiscono gelosamente i segreti della propria arte.
Poi entri da Fragonard, e lì ci sono tutti quegli alambicchi che ti aspetti, mille ampolle di vetro e quadrati di legno con grasso spalmato sopra e fiori puntellati minuziosamente sopra, ma tutto dietro teche di vetro, sei in un museo che ti aspettavi?
Grasse è dentro una teca di vetro, o peggio dentro una di quelle palle con la neve finta che volteggia se la agiti.


Grasse non usa più un'essenza preziosa ma si imbelletta con una scadente acqua profumata.
Il festival du Jasmine c'è, ma senza gelsomini sono stati estirpati dalla speculazione edilizia.
Oltre la città abbiamo incontrato una signora. Ho bussato alla sua porta perché dovevo andare in bagno e parlandole un francese un po' inventato sono riuscita a convincerla a farmi usare la sua personale toilette. Poi iniziamo a chiacchierare, sempre in francese, per dieci minuti fino a quando mi chiede da dove vengo, perché effettivamente ho un accento strano. "Sono Italiana". Allora lei attacca a parlare calabrese come se non ci fosse un domani. Poi dormiamo nella macchina di fronte casa sua e al mattino dopo ci invita in cucina per prendere il caffè, quello vero, quello nostro. E niente quella mattina sorseggiavamo caffè in una cucina di Grasse con una signora di Cosenza che alle 08.00 del mattino era intenta a preparare i friggitelli. Non c'è niente da fare lei anche se da 30 anni vive a Grasse la mattina prepara i friggitelli e il dialetto lo tiene stretto come Linus con la sua coperta.







mercoledì 3 dicembre 2014

Diari d'Incontri. 30 Agosto 2014. Nizza


Avete presente quando sulle montagne russe piano piano si sale e poi tutto d'un tratto si scende giù all'impazzata? La sensazione del viaggiatore che da Menton arriva a Nizza è la medesima della discesa delle montagne russe ( che tra le tante cose  che ho in mente mi sono chiesta ma perché si chiamano così? perché banalmente le hanno inventate in Russia o perché c'è un mistero onomastico dietro? Invece niente misteri dietro questo nome, la questione è tanto ordinaria quanto straordinaria: ordinaria perché effettivamente furono inventate in Russia, straordinaria perché furono volute dall'Imperatrice Caterina II, ovviamente con una versione tutta settecentesca, fatta di scivoli di ghiaccio a cui si poteva andare sino alla velocità di 70 km/h. chiudo l'inciso sulle montagne russe va).
Insomma niente, con questo inciso doveroso per la mia insana mente, mi sono giocata l'effetto sorpresa, che dalle spalle della città, salendo su una collina, ad un tratto ti trovi davanti un golfo gigante e una strada tutte curve che ti trasporta all'interno di esso: Nizza.

sono innamorata di Nice e del suo nome francese, perché mai dovremmo tradurre i nomi delle città? è tanto bello Nice, le dona proprio, meglio che Nizza, che la veste male, è come se una donna indossasse un abito della taglia sbagliata.
Nice è come una di quelle lampade per bambini che girano e proiettano immagini di animali colorati sui muri.
Nice è la figlia perfetta di due genitori di diverse etnie, ha preso solo le cose positive sia dall'uno che dall'altro.
C'è questa grande promenade che divide la spiaggia di ciottoli bianchi e il mare blu dalla città vecchia, la promenade des anglais, tutta puntellata di palme, e scorre per tutto il golfo come una collana intorno al collo sottile di una signorina.


Se dovessi chiudere gli occhi e pensare a Nice, sento l'odore del mare e quel senso di fastidio che ti da la polverina bianca dei ciottoli della spiaggia dopo che li hai toccati, e anche se è seccante continui a passarci le mani sopra perché in fondo in fondo non è poi così spiacevole. Poi ci sono i balconcini in ferro battuto, un grande classico francese ma che non stanca mai, poi le tende a strisce bianche e verdi o bianche e gialle. Piatti giganti di cozze che svolazzano nelle piazzetta della Nice antica. Poi il mercato con le saponette, i fiori e le spezie. Nice è piena di colori ed odori proprio come prometteva in precedenza la costa azzurra, non si è smentita.


Poi c'è quell'altra piazza, gigante, dove passa il tram, un connubio equilibrato fra modernità e antichità, con la fontana in marmo bianco e le istallazioni alte di uomini pensanti che di notte s'illuminano e cambiano colore ogni secondo. Poi c'è il tram che passa sull'erba e se ne va. E sulla destra una distesa, quadrata e nera, è una fontana che fa giochi d'acqua di luce e di vapore intrattiene tutti i bimbi più scatenati che escono di casa direttamente  col costume per scivolare sulla superficie liscia del pavimento riflettente. Una fontana particolare, ci puoi passeggiare sopra, stando attento ai getti d'acqua improvvisi che si alzano in aria come muri labirintici.
Nice che se lo leggi in francese è il nome di una città, ma se lo leggi in inglese capisci di che tipo di città stiamo parlando, un gioco linguistico per dire quanto è bella questa città.




giovedì 27 novembre 2014

Diario d'Incontri. 30 Agosto 2014 Menton


Eccoci al famoso confine, che dopo tutte quelle lezioni di geografia da piccola mi immaginavo che il confine fosse una linea disegnata per terra, mica una cosa immaginaria, no no proprio una linea di vernice rossa incandescente. Ed io che ancora non sono cresciuta, non sapevo bene cosa mi dovesse aspettare al confine. Sono espatriata tante volte, ma sempre prendendo un aereo, che ti priva totalmente di pensare al confine e di provare quella sensazione del troverò o non troverò questa famosa linea?
Invece niente, velocemente, un momento prima stavamo a Latte, in Italia, il momento dopo eravamo già in Francia a Menton. ( ci tengo a sottolineare quanto sia assurdo che le due città di confine si chiamino Latte e Menton, che non fanno altro che  rievocare quella bevanda dall'accoppiata strana).
Quanto è potente questo confine, che anche se non esiste impone immense diversità.

Anche se la brezza francese l'aveva già respirata a San Remo, a Menton la francesità si fa più intensa nell'aria e soprattutto nella gente.
Menton è una piccola meraviglia, quando ci cammini attraverso ti pare di essere rimpicciolito, come alice dopo che ha bevuto dalla bottiglietta, e di essere finito in uno di quei componimenti perfetti che si usano per costruire il Presepe, fatto di casette e viette piene di vita e, immagini, piene di profumi. Uno di quelli che quando lo vedi in vendita, dietro la teca di vetro, ti ci fermi almeno cinque minuti a guardarlo, per  i dettagli ma soprattutto per l'atmosfera calda che trasmette.
Poi la spiaggia, che ti permette, mentre fai il bagno di  piroettare su te stessa e scegliere a chi donare lo sguardo, prima le spalle al porto, poi al mare e poi al campanile che svetta dalla palazzine colorate e arroccate.
Per ora la costa azzurra promette profumo e colori.
Camminiamo per il centro e troviamo vetrine imbandite di dolciumi, marmellate, salse cioccolatose, spezie, saponette a tutti i gusti possibili quasi da mangiarsele, sacchetti di lavanda e persino una montagna di meringhe.


Ma anche oggi è giunto il momento di lasciare alle spalle il mio incontro per essere pronta per conoscere qualche altra città. Sarà meglio mangiare il biscotto che prima Alice mi ha prestato così che possa crescere e rimettermi in viaggio.


lunedì 24 novembre 2014

Diari d'incontri. 30 Agosto 2014 San Remo


Accaldati arriviamo a San Remo, un pomeriggio volante nell'ultima città italiana prima di lasciarci alle spalle il nostro confine. Tra le strade di San Remo tira una brezza francese. Sulla carta d'identità sotto la dicitura "cittadinanza" troveremo italiana ma la realtà è un'altra, San Remo è una città francese a tutti gli effetti, persino per le strisce dei parcheggi. Curata in ogni minimo dettaglio, forse perché è una meta ricercata dai più facoltosi, forse perché ospita il nostro famoso festival, chissà, ma i fiori ci stanno e di tutti i colori. La passeggiata del belvedere pare un enorme terrazzo lussuoso, pavimenti colorati e geometrici, le palme alle spalle dei passeggiatori, panchine, coni ricchi di fiori e una balaustrina bianca con colonnine ondulate.    

Torna il mio feticismo per i palazzi; i palazzi di San Remo sono tutti molto sontuosi e dagli stucchi ben rifiniti. Le strade di ampio respiro e le decorazioni floreali non fanno che trasportarti con il pensiero in una qualche città della costa azzurra.
Belle le strade, belli i fiori, carina persino la statua di Mike con un libro con su scritto Allegria! ( no non è vero che è carina è forse da annoverare tra le più brutte esistenti al mondo).
Ma....il mare? vogliamo parlare degli stabilimenti che si sono mangiati la spiaggia? e che la spiaggia libera ( per chi come me ne è un amante) è inesistente e quel poco che c'è è ridotto ad un osso di cemento? San Remo ha cura solo dei turisti che usano la piscina del proprio resort. Insomma il mio unico incontro è stata la lotta per il pezzetto di cemento più comodo con una famiglia di peruviani e con un bagnino di uno stabilimento che più che bagnino era un cane da guardia.

Quindi il mio pomeriggio a San Remo lo voglio ricordare solo ed esclusivamente per il belvedere poetico, con la venere che passeggia  a mezz'aria sul mare.

venerdì 21 novembre 2014

mercoledì 19 novembre 2014

Diario d'Incontri 29 Agosto 2014 Genova


Era brutto tempo e ci siamo giocati "la carta" acquario di Genova.

Quando arrivi a Genova, in macchina, la prima volta nella tua vita vedi solo cemento, lavori in corso e caos. Una persona nata e cresciuta a Roma ( dove ha anche imparato a guidare) non dovrebbe avere problemi a sostenere altre città dal traffico facile. Invece Genova un po' di "dove cazzo vado adesso??!!" è riuscita a darmelo, quel momento in cui  non sai minimamente cosa fare mentre dietro hai creato una fila rigorosamente incavolata che ti suona. Scatta il panico da asfalto che ti rintontisce peggio e il non sapere dove stai andando diventa un urlo continuo, ed è proprio in questo momento che di solito appare, quasi magicamente, un divieto...si esatto, tu, su quella strada proprio non ci dovevi andare, ecco questo è il momento in cui le bestemmie si accalcano sulle labbra. Finché sei talmente rintontito e preso dal panico che alla fine fai un bel respiro profondo e ti dici che va tutto bene e che una multa non è poi la fine del mondo e inizi ad andare ovunque, ormai hai superato la fase da panico da asfalto, hai raggiunto la fase zen puoi persino imboccare la strada pedonale ( in effetti l'abbiamo fatto).

Dopo il panico iniziale e dopo aver parcheggiato la macchina in uno dei tanti e soli parcheggi costosissimi ( andateci in treno) puoi finalmente dimenticare i divieti, i cartelli, i lavori in corso e il traffico; con i piedi è tutto più semplice, non c'è via che tu non possa prendere.
La Repubblica Marinara mantiene i fragranti aromi e la movida della città portuale, ricca di diversità e caotica.

Non so perché ma ho una specie di feticismo per palazzi, osservarli e fotografarli mi piace proprio, e qui ogni palazzo è unico e racconta una sua storia, facendo di Genova un coro visuale di diverse influenze architettoniche. Genova è diversa, il grigio predomina nel porto, ma a sprazzi s'inseriscono nello sguardo delle palazzine tutte stuccate e color pastello. Anche l'aria è grigia e pesante, ma viene spezzata dai profumi delle cucine etniche dei negozietti nascosti nelle vie di travertino. Genova è una bilancia indecisa, una di quelle antiche con due piatti, su di uno c'è una pietra grigia e pesante, sull'altro c'è un pigmento rosa antico e una manciata di curry: i due piatti fanno su e giù non riuscendo a trovare mai un equilibrio.


Anche stavolta, quando si ha tempo di dedicare un sorriso e una chiacchiera si è sempre ricompensati dalle persone che diventano gentili per l'attenzione data. Come l'orologiaio, con il suo banchetto sotto il nostro hotel che ci ha raccontato di una Genova diversa, una Genova più giovane,  una città-bilancia non impazzita ma sana ed equilibrata.


Mi addormento pensando a tutti quei pesci colorati, agli anemoni, alle foche e ai pinguini. Ma anche pensando alle gru, ai gabbiani e alle corde nautiche inzuppate del porto.






Anche oggi un'altra giornata è trascorsa, chissà domani dove arriverò....



martedì 18 novembre 2014

Diario d'Incontri. Vernazza 28 Agosto 2014



Vernazza, la quarta delle cinque terre e
probabilmente anche la più bella. Un piccolo borgo racchiuso tra rocce grigionere che si tuffano nel mare, poche vie ma tutte colorate dalle bandiere e dai panni stesi su fili tirati da finestra a finestra.


Quando ci siamo presentate la prima volta, ero piccola, eppure i ricordi di quando avevo sette anni erano nitidi e coincidevano con ciò che mi ritrovavo a vedere. Pochi passi ed eccola là la sensazione strana che nasce dopo aver fatto coincidere perfettamente i tuoi ricordi di bambino con la realtà, come due tessere di un puzzle da tanti anni abbandonato.
Quando sei adulto e hai la consapevolezza che i ricordi di quando eri bambino non sempre combaciano con la realtà, e hai il coraggio di tornare in quei luoghi che ti hanno stupefatto, sai anche che puoi vivere una delusione, che puoi rovinare un bel ricordo.
Ma Vernazza è rimasta la stessa, sia nei ricordi della me di sette anni sia nei nuovi ricordi della me ventiduenne.
Vernazza è sempre lei e spero lo sia sempre.

Piccole palazzine ricoperte di un intonaco ormai invecchiato, chiazzate, scrostate eppure molto belle. La chiesetta che trionfa sul porticciolo e la piazzetta ricolma di ombrelloni. La gente è ovunque, nei vicoli si fa la fila per passare. Turisti giapponesi che godono la visuale di questa cittadella nascosta tra le colline, attraverso il display della macchinetta fotografica. Turiste nord europee troppo bianche per stare in costume.

Altri turisti e ancora turisti che mangiano e si accalcano bramosi di un tavolo con vista sul porticciolo, come dargli torto. Poi tra i vicoli, in un punto particolare, c'è solo roccia e un'apertura, un passaggio che porta sulla spiaggia lontana dalla folla. Una distesa di ciottoli incandescenti e levigati dal mare e dal vento. Vernazza è proprio speciale. Pare costruita su enormi scaglioni di cioccolata fondente.

Quando cammini tra i vicoli l'atmosfera pare sospesa, come se da un momento all'altro, girando l'angolo del tuo vicolo potessi trovare qualcosa, una porta nascosta, un luogo segreto o una scalinata infinita che porta sul belvedere.








lunedì 17 novembre 2014

Caro Babbo Natale...

Caro babbo natale,
arriverò subito al punto. Prometto quest’anno di fare la brava e anche se non ci riuscirò tenterò di rimediare. Per questo mio impegno dovresti premiarmi con:

- spazzolino da denti ( quelli con la batteria che muovono le setole da soli) ne desidero uno da quando sono piccola, forse perché sono stata attirata da quelle maledette pubblicità.

-una stufetta per la mia stanza che accenderò quando studio perché ha iniziato a fare freddo ma mio padre ha i calori e non mi vuole far accendere i termosifoni nonostante io abbia il naso gelato e la mani così fredde che non riesco a scrivere gli appunti di latino.

- una borsa nuova della misura perfetta, che non sia gigante o microscopica, la borsa di tutti i giorni. Una borsa quotidiana e elegante al punto giusto, con tante tasche interne con le zip. Niente ghirigori strani ne pailettes ne borchie ne perline. Solo stoffa o pelle o cuoio e basta.

- degli stivali  da abbinare a tutti i miei vestiti, così perfetti che stiano bene con tutto senza che ogni giorno io debba  stare davanti allo specchio e all’armadio andando in iperventilazione da “ cazzo non ho le scarpe per questo vestito bellissimo”.

-Una scorta annuale di biscottini da tè ( quelli mezzi cioccolatosi e mezzi semplici) e lingue di gatto ( quelle con le gocce di cioccolato e le mandorle).

- Un buono al mercatino dell’usato da sfoderare come una spada scintillante quando in una passeggiata casuale troverò l’oggetto della mia vita.

- tante ore libere per imparare a sferruzzare a maglia e all’uncinetto dalla mia nonna.

- Un fine settimana completamente libero da ogni impegno e ogni pensiero ansioso da passare rigorosamente nella cittadina in mezzo alle colline davanti al fuoco con l’amore e le castagne.

- tutta la lista ( intera è non provare a fare il furbo) dei libri di cui mi sono annotata il titolo e che non ho mai comprato.


- Se c’hai tempo portami pure un tartufo và. ( no il gelato, ma quello che si grattugia sulla pasta).

Diario d'Incontri. 27 Agosto 2014



27 Agosto 2014

Questo tipo di viaggio mi fa impazzire, nel vero senso della parola.
Le numerose mete a cui siamo destinati non fanno altro che incuriosirmi e affascinarmi prima di averle incontrate, le immagino, le sogno e spero non mi deludano. L'asfalto scivola sotto le nostre ruote avventurose e ci porta ogni giorno in una nuova città e nelle vite delle persone che incontreremo.
Questo viaggio è poliedrico e non sai mai cosa ha in serbo per te. Un viaggio d'incontri.


Oggi ho scoperto quanto mi disarma la gentilezza delle persone quando puoi dedicargli il tempo di una parola o di un sorriso.




Viareggio, 27 Agosto 2014.


Una grande Promenade in movimento, una strada di persone, un flusso continuo di biciclette e gelati. Una passerella di grandi firme. Chissà Viareggio 100 anni fa.  Il suo fascino passato è ancora incastonato nell'architettura delle palazzine art nouveau. Una ricchezza tutta dannunziana...i balconcini, i vetri colorati, le finestre dalle cornici intarsiate. Peccato che questo fascino venga soffocato dalla modernità ostentata, stroboscopica, urlata. All'interno di quelle palazzine preziose si sono ormai radicati i grandi negozi, che smorzano l'emozione per quel fascino creato dalle linee morbide dello stile liberty. Mi piace pensare a Viareggio come ad una statua, ferma, immobile e intrappolata in un tempo antico. Come se fosse una musa protagonista di uno dei tanti miti greci.





La rosa sul cruscotto.

Ultimamente è lì, che viene inserita nel vhs della mia memoria, la cassetta, di quel momento.
Noi due, in una delle nostre uscite, una di quelle che non sapevamo mai come sarebbe andata a finire. Eravamo in macchina e tu avevi comprato una rosa.
Non per me, per tua mamma.
Devo ammetterlo lì per lì quando hai tirato fuori il portafoglio davanti a “rosario” ho pensato che eri il solito romantico e forse ho anche sorriso, ma poi tu con il tuo sguardo un po’ arcigno hai risposto ai miei pensieri: “è per mia madre”.
Mi hai fregata, come facevo sempre io con te, abbandonandoti nelle domande speranzose, solo che io ero più stronza.
Eravamo in macchina e tu avevi comprato una rosa per tua madre, stavamo per andare a mangiare la sacher in quel posto.  Poi in prossimità della stazione accosti. Abbassi il finestrino, la chiami. Si avvicina.
La rosa sul cruscotto. Scendiamo. Ricci lunghi biondi quasi come i miei. Era tua madre e mi hai presentato, anche se lei mi conosceva già molto bene da qualche anno. È stata gentile con me ed ha sempre dimostrato di avere un microscopico pensiero nei miei confronti, perché quando ti chiamava e sapeva che eravamo insieme, ti chiedeva sempre mie notizie. Anche una volta mi dissi che ti aveva chiesto di me durante una cena. Forse è per questo microscopico pensiero che lei conservava per me, che io da un anno a questa parte continuo a tornare sulla scena della stazione, di quando quell'unica volta ci siamo sorrise vicendevolmente. Mentre sono in auto e guido, torna la rosa sul cruscotto, torni te che la chiami, torna lei che ci saluta e guarda la rosa; poi passa gli occhi su di te e sorride e da brava mamma ti ammicca come per dire “ ah gli hai comprato anche una rosa” e tu rispondi al suo sguardo dicendole che la rosa l’hai presa per lei. La rosa sul cruscotto è nella mia mente e torna quasi tutte le mattine.  Quella fu l’unica volta che la vidi.
Poi quell'altro giorno, in cui dovevamo essere tutti riuniti per te, mio amico caro, sotto le arcate immense della chiesa, tra le panche e l’odore dell’incenso io non sono venuta. Avevo un esame ma non fu solo per quello, fu anche perché io, i funerali, non riesco a sostenerli. Mi sono chiesta e richiesta cosa fare in un contesto simile.
Ci vado? Non ci vado?
Decisi di svegliarmi presto, di partire da casa prima del dovuto, per fare una deviazione al mio tragitto verso la chiesa, per prendere una rosa e lasciarla, stavolta, sulla panca di legno dove ti saresti seduto poco dopo, per salutarla.
Così il mio ricordo si sarebbe trasformato, da sorrisi e una rosa sul cruscotto ad una rosa sulla panca della chiesa e lacrime.

Non ho voluto.

domenica 18 maggio 2014

Il baccello del paradosso.



Possiamo cogliere la paradossalità della nostra società in un istante immaginario. Un contadino in Campania nutre i suoi maiali con le carrube, nello stesso istante in cui i maiali si cibano, un radical chic entra da Eataly e compra al modico prezzo di sei euro una confezione di carrube, la cui porzione oscilla tra “scarsa” e “sei matto che paghi sei euro dieci carrube”.

L’ignoranza  e la perdita delle nostre radici ci porta a pensare che le carrube siano chissà quale cibo esotico per cui vale la pena spendere così tanti soldi. Siamo tutti citrulli, indirizzati in canali, viaggiamo costantemente secondo corrente.

Abbiamo quest’immagine che sfiora quasi una legge iconografica del contadino ignorante, vecchio ma arzillo. Vecchio ma con i muscoli del lavoro, con le mani grandi, ricche di calli esperti e sporche di terra; magari un po’ sdentato e che non sa leggere.
Quest’immagine di un contadino vecchio stampo, che intreccia ceste su una sedia usurata, la sera, nel vialetto di casa, viene via via scomparendo.  Il contadino in bianco e nero con i solchi della vita in risalto rappresenta le nostre tradizioni. Tradizioni ancestrali di una profonda cultura in via d'estinzione. Nei calli dell’analfabeta rimane la cultura profonda più prossima ai nostri istinti naturali. In quei solchi, di quelle mani sporche ci sono le nostre radici. E noi non facciamo altro che tentare di piantarle secondo il nostro gusto e la nostra moda, avvelenandole con la pubblicità pesticida e definitivamente perdendole nella carestia odierna.
Radici per sempre perse nella desertificazione della tradizione.





lunedì 10 febbraio 2014

La palla è il crocifisso del calciofilo.

L'altra settimana sono andata per la prima volta allo stadio, e devo ammettere che ogni gradino salito era come una nuova tappa di emozioni. 
L’atmosfera è viva e frizzante. 
Inoltre ho scoperto che lo stadio porta con sé tutta una serie di fattori di cui non ero a conoscenza come i gruppi di amici che si ritrovano esclusivamente per la partita, tutti seduti sempre agli stessi posti ( perché la scaramanzia è parte integrante dello stadio) e che ti chiedono ripetutamente di scambiare i posti perché il “bigliettaio non j’a dato er posto che j’aveva chiesto”;  oppure una serie di parole, quelle che io definirò le parole calde dello stadio, che sono sempre le stesse e che chiunque anche i verginelli da stadio, possono usare quando e come vogliono, perché sono parole dette così, anche un po’ a caso, ma che danno un tono vivace all'atmosfera ed esprimono a volte il risentimento e la mestizia di certi avvenimenti, a volte invece la felicità e la gioia di un azione calcistica.
Bene o male le frasi sono sempre le stesse e molto gettonate, ovviamente per i più creativi stadio-calcio-dipendenti ci sono sfumature diverse delle stesse frasi; sono pronta a scommettere che a Firenze ci diano giù di creatività, si sa che i toscani sono estremamente originali.
Cosa dire sull'evento stadio?  La definirei un esperienza unica, anche se devo ammettere che mi sono distratta moltissimo dalla partita perché era quasi più interessante guardarmi intorno, osservare le persone ( quasi tutti folli, compresa me) osservare la curva a pochi metri da me, che pare fatta di un unico grande polmone mai stanco di cantare ( o sventolare quelle enormi bandiere che poretto quello a cui gli tocca) e le luci forti, accecanti, i fumi colorati…lo stadio è magico folklore.

Dovrebbero fare un studio antropologico sugli stadio-frequentatori-romani che sono unici nel loro genere, la crème de la crème della romanità più forte, spesso romanisti sfegatati che non c’hanno un cecio, ma i soldi da parte per vedersi la partita ce li hanno sempre, è questo che rende lo stadio un vero e proprio culto.
La religione calcio esiste, eccome se esiste e non è poi tanto differente dalle altre religioni. 
Basti pensare all'idolo calcistico, di cui ogni vero fedele ha un “santino”;  l’eroe della squadra, diviene un vero e proprio Dio sul manto erboso, acclamato e celebrato su ogni seggiola dello stadio, su ogni poltrona e ogni divano. 
I fedeli si riuniscono una ( o più volte ) a settimana nel tempio sacro: lo stadio. 
I credenti si riuniscono in piccole cerchie, per vedere le partite in trasferta. 
La fede calcio è una grande unione, essa si dirama in tante più piccole religioni, una per ogni squadra.
Purtroppo però porta con sè anche molta discriminazione. 
Che religione sarebbe se non ci fosse discriminazione? 
La religione calcio è estremamente interessante perché non ha niente di più ne di meno di una qualsiasi religione; la palla che va in rete è il simbolo di un appagamento e di una felicità temporanea che da credito alla religione stessa attraverso il compiacimento del fedele; la palla è il crocifisso del calciofilo. 


http://www.youtube.com/watch?v=pTpDGepW1CE&feature=youtu.be