Vernazza, la quarta delle cinque terre e
probabilmente anche la più bella. Un piccolo borgo racchiuso tra rocce grigionere che si tuffano nel mare, poche vie ma tutte colorate dalle bandiere e dai panni stesi su fili tirati da finestra a finestra.
Quando ci siamo presentate la prima volta, ero piccola, eppure i ricordi di quando avevo sette anni erano nitidi e coincidevano con ciò che mi ritrovavo a vedere. Pochi passi ed eccola là la sensazione strana che nasce dopo aver fatto coincidere perfettamente i tuoi ricordi di bambino con la realtà, come due tessere di un puzzle da tanti anni abbandonato.
Quando sei adulto e hai la consapevolezza che i ricordi di quando eri bambino non sempre combaciano con la realtà, e hai il coraggio di tornare in quei luoghi che ti hanno stupefatto, sai anche che puoi vivere una delusione, che puoi rovinare un bel ricordo.
Ma Vernazza è rimasta la stessa, sia nei ricordi della me di sette anni sia nei nuovi ricordi della me ventiduenne.
Vernazza è sempre lei e spero lo sia sempre.
Altri turisti e ancora turisti che mangiano e si accalcano bramosi di un tavolo con vista sul porticciolo, come dargli torto. Poi tra i vicoli, in un punto particolare, c'è solo roccia e un'apertura, un passaggio che porta sulla spiaggia lontana dalla folla. Una distesa di ciottoli incandescenti e levigati dal mare e dal vento. Vernazza è proprio speciale. Pare costruita su enormi scaglioni di cioccolata fondente.
Quando cammini tra i vicoli l'atmosfera pare sospesa, come se da un momento all'altro, girando l'angolo del tuo vicolo potessi trovare qualcosa, una porta nascosta, un luogo segreto o una scalinata infinita che porta sul belvedere.
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